Psicologa Psicoterapeuta Esperta Associazione EMDR Italia

Identità, angoscia e senso di vuoto nell’era digitale

Identità, angoscia e senso di vuoto nell’era digitale, alcune riflessioni….

Il nostro sistema sociale è basato sulla velocità e mutevolezza delle informazioni. La maggior parte degli individui è connessa costantemente al web tramite smartphone, computer ed altri dispositivi tecnologici. Com’è cambiata di conseguenza l’identità delle persone e come si manifesta il malessere personale e relazionale nell’epoca digitale?

A partire dalla metà del secolo scorso, lo sviluppo delle tecnologie dell’informazione ha condotto a cambiamenti sociali profondi determinando la transizione dalla società tradizionale alla società moderna “digitale”, dove la maggioranza degli individui è costantemente connessa con la rete globale di informazioni tramite computer, cellulari o altri gadget tecnologici.

L’attuale sistema sociale, basato sulla velocità, sulla mutevolezza e sulla molteplicità delle informazioni, ha modificato le interazioni umane, accomunate dalla velocità e precarietà, dato che ogni individuo è chiamato a rispondere al susseguirsi di molteplici ruoli e contesti dove fare esperienza (dalla molteplicità delle esperienze scolastiche, alla mutevolezza dei gruppi amicali, alla necessità di acquisizione di complessi livelli di apprendimento per l’inserimento in un mondo lavorativo sempre in mutamento, ecc.).

Nelle società tradizionali, preindustriali, le persone valutavano la loro esperienza e orientavano il loro agire sulla base delle emozioni provate. Le scelte dell’individuo erano limitate perché compiute all’interno di ruoli sociali rigidi e stabili nel tempo, predisposti dalla comunità già alla nascita.

Tali individui erano quindi “autodiretti”, ossia guidati dall’intensità e qualità del loro vissuto emotivo. Nella nostra società post-moderna, il comportamento delle persone non è più regolato dalle richieste della produzione industriale, bensì dalla tecnologia dell’informazione che pervade tutti i settori della vita sociale.

Sapere chi si è, quali sono i propri ruoli e la propria identità, non trova una risposta definita nella rete delle relazioni familiari e sociali, in quanto è assente un codice condiviso di significati che possa connotare l’appartenenza al gruppo e alla comunità. In particolare, nelle generazioni cresciute nell’ultimo ventennio molti hanno sperimentato l’assenza delle relazioni intime nel rapporto con i genitori, sia perché quest’ultimi erano presi dal lavoro e preoccupati dalla crisi sociale incombente, dopo aver vissuto il boom economico degli anni Sessanta, oppure, in altri casi, a causa di problemi di incompetenza a livello relazionale, avendo posto nelle proprie capacità produttive il principale punto di riferimento per valutare il valore personale, come dettava il modello sociale di successo della società industriale.

Gli ultimi decenni sono stati caratterizzati inoltre da grandi flussi migratori, poiché molti non possono poggiarsi sulla tradizione familiare per ricevere sostegno e radicamento. Le piazze si sono svuotate e le relazioni si sono spostate sui social network. Il vissuto sociale oggi è “liquido”, cangiante. L’individuo può leggere la sua esperienza attraverso una molteplicità di significati, a seconda dei contesti sociali e delle prospettive dalle quali la valuta, partecipando e condividendo una molteplicità di discorsi, mentre si posta fra mille ambiti di interazione con altri individui, sia reali che virtuali, con la connessione a Internet.

Mentre nelle società tradizionali ogni persona possedeva una identità indipendente da quella degli altrimembri della comunità, e immutabile, in quanto il ruolo dell’individuo all’interno del gruppo sociale era stabilito già prima della nascita sulla base del sesso, della classe sociale e di altri parametri codificati per tutto il tempo di vita, nella società postmoderna, tecnologica, sono andati perduti proprio quei legami e ruoli interfamiliari e tra gruppi sociali più vasti.

Tale mutamento sociale ha determinato un profondo cambiamento nella narrazione delle proprie esperienze di vita: a seconda dei contesti a cui si partecipa, si sperimentano nuovi significati nell’interazione con gli altri, e di conseguenza l’immagine di sé, la propria identità, muta assumendo sempre nuove sfaccettature.

La partecipazione a interazioni con individui e gruppi è quindi l’unico modo attraverso il quale acquisire un’immagine di sé e un ruolo sociale. Per questo motivo la peculiarità dell’identità di ogni individuo nella società attuale sta nell’essere costituita da una molteplicità di aspetti di sé e rispettivi ruoli.

Il “ bisogno” dell’altro per dare senso alla propria esperienza ha determinato da un lato l’emersione di un nuovo modo di essere conformisti, dove atteggiamenti ed emozioni favorite quali la neutralità, la vaghezza, l’indefinitezza, l’ambiguità, la tolleranza, la complicità divengono centrali nella costruzione dell’identità personale.

Questo carattere sociale “eterodiretto”, in assenza di univoci codici sociali condivisi, perde il riferimento all’interiorità e quindi l’ascolto e la codifica delle proprie emozioni. Il malessere del nostro tempo ha a che fare proprio con questa incapacità a contattare il mondo emotivo, e si manifesta con la difficoltà o l’incapacità a sentirsi.

Vissuti di noia nella relazione e difficoltà a sentire le emozioni incarnate nel corpo; incapacità a separarsi per affermare il proprio valore e ricerca della solitudine per riuscire a percepire sé stessi, mentre i legami sono percepiti opprimenti e privano della libertà.

I tentativi di gestione si situano in un continuum tra la fuga nell’uso di sostanze, analgesizzanti come l’alcol o l’eroina per non sentire l’ansia e l’angoscia, o stimolanti come la cocaina per uscire dalla piattezza emotiva e amplificare le sensazioni, fino alla fuga nell’immersione totale nel lavoro.

Il problema che si pone l’uomo “eterodiretto” post moderno sta nel conflitto tra il bisogno di identificarsi con l’altro e il contemporaneo bisogno di individuarsi, distinguersi dall’altro nella percezione della propria unicità.

La neutralità e l’ambiguità si spiegano in quest’ottica con la scelta di non impegnarsi a fondo, rifiutando di assumere una posizione definita: l’assunzione di responsabilità in tal senso è rifuggita perché arrestarsi su una scelta vuole dire assumere una posizione inflessibile, impedendosi altre possibili scelte.

Un’identità che si costruisce in costante riferimento all’esterno in questo modo si troverebbe bloccata e impossibilitata a evolvere. L’impegno può essere quindi solo episodico, limitato al tempo presente dell’interazione in corso.

L’approvazione da parte degli altri, il dover essere divertente, cordiale, corretto, il volere simpatizzare con tutti, sono le modalità di porsi nella vita sociale del nostro tempo. Con l’ambivalenza si può assicurare l’equilibrio all’interno di una modalità di disimpegno: da un lato il definirsi nei confronti dell’altro per contrapposizione, dall’altro la critica del proprio modo di essere e la costante messa in discussione della propria esperienza, tesi verso un oceano di sempre nuove possibilità di significato.

Questa “flessibilità”, assunta dalla società attuale a valore assoluto, può ad un certo punto incontrare ostacoli alla sua attuazione, così che il gioco d’equilibrio si spezza, e allora entra in gioco l’ansia, segnale della percepita vulnerabilità di fronte alla precarietà delle relazioni dalle quali ricavare l’identità, nel lavoro, in famiglia, nella comunità, nel gruppo degli amici. L’incertezza di fronte al futuro, nel tentativo di lasciare aperta a oltranza ogni possibilità, genera uno stato d’ansia che giunge fino all’angoscia, quando affiora alla consapevolezza, l’inautenticità, il senso di bluff, l’assenza di senso della propria esistenza.

L’abisso che si apre nella quotidianità della vita quando si prende consapevolezza che ciò che diciamo non corrisponde a ciò che sentiamo.

La perdita di senso è il “vuoto”, in cui l’individuo, distolto dalla costante concentrazione sulla dimensione mondana dell’esistenza si ritrova solo, spaesato, privo dei significati che delineavano, colmandola, l’immagine di sé.

Incapacitato a riconnettersi con l’interiorità emotiva e affettiva, non sa ricostituire dall’interno la pienezza dei significati perduti.

Chi guarda l’abisso è costretto a guardarsi, è rimandato a sé stesso, in una dimensione totalmente libera da vincoli e per questo motivo angosciosa, ma d’altra parte positiva, in quanto necessario inizio di un percorso di ricostruzione di sé in fedeltà con la propria esperienza interiore.

Bibliografia

  • Arciero Giampiero, Studi e dialoghi sull’identità personale (2002), edizioni Bollati Boringhieri
  • Arciero Giampiero, Sulle tracce di sé (2006), edizioni Bollati Boringhieri
  • Spagnuolo Lobb Margherita, la Psicoterapia della gestalt e l’evoluzione della clinica psicologica, in Caselli Patrizia, a cura di, Il nostro mare affettivo (2011), edizioni Alpes
  • Zygmunt Bauman, Paura liquida, (2008) edizioni Laterza
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